Nessun regolamento condominiale può vietare la detenzione di animali domestici: lo ha stabilito una recente sentenza del Tribunale di Cagliari. Ecco il caso.
Le norme che proibiscono di tenere animali domestici in condominio sono sempre nulle, anche se contenute in regolamenti contrattuali. A sancirlo è la sentenza n. 134 del 25 gennaio 2025 del Tribunale di Cagliari, che affronta nuovamente il tema della detenzione di animali in condominio.
Il giudice ha dichiarato nullo il divieto impugnato da un condòmino, al quale era stato impedito l'accesso al condominio con il proprio cane. Secondo la decisione del tribunale, dopo la riforma del 2012, non è più possibile vietare ai condòmini di tenere animali domestici in casa, nemmeno attraverso regolamenti contrattuali.
Un condòmino si è visto negare l’accesso e la possibilità di tenere il proprio cane in condominio, in base a un divieto previsto dal regolamento. Il condòmino ha quindi citato in giudizio il Condominio e tutti gli altri condòmini, chiedendo al tribunale di dichiarare la nullità dell’articolo 7 del regolamento, che stabiliva:
“È vietato tenere animali domestici che non possono vivere costantemente all’interno delle unità immobiliari. In particolare, è vietato tenere cani, non essendo possibile provvedere alle loro esigenze senza lordare e danneggiare gli spazi condominiali.”
Secondo il ricorrente, questo divieto è nullo in quanto contrario all’art. 1138 del Codice Civile, che stabilisce che nessun regolamento condominiale può vietare la detenzione di animali domestici. Inoltre, il divieto è stato ritenuto in contrasto con l’ordine pubblico, in quanto non considera il cambiamento della coscienza sociale e dell’ordinamento giuridico, sempre più orientati a riconoscere il valore degli animali domestici nella vita delle persone.
Con la legge n. 220 del 2012, è stato introdotto un nuovo comma 4 nell’art. 1138 del Codice Civile, il quale sancisce che le norme condominiali “non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.
Prima del 2012, i giudici ritenevano che un divieto di detenzione di animali potesse essere valido solo se contenuto in un regolamento contrattuale, approvato all’unanimità dai proprietari o predisposto dal costruttore e accettato nei singoli atti di acquisto.
Dunque, prima della riforma, un divieto poteva essere inserito solo in un regolamento contrattuale, mentre non era ammesso in un regolamento assembleare approvato a maggioranza. Il motivo? Perché vietare la detenzione di animali domestici significa limitare il diritto di proprietà esclusiva dei condòmini. Di conseguenza, una simile restrizione doveva essere accettata da tutti e non solo dalla maggioranza.
Dopo la modifica del 2012, il legislatore ha voluto chiarire che nessun regolamento condominiale, nemmeno quelli di natura contrattuale, può imporre un divieto di detenzione di animali domestici. Questo principio si allinea alla sempre maggiore attenzione alla tutela degli animali, riconosciuti come esseri senzienti e parte integrante della vita delle persone.
Di conseguenza, in base all’art. 1138, comma 4, del Codice Civile, qualsiasi divieto contenuto nei regolamenti condominiali è nullo e privo di effetti. Il Tribunale di Cagliari ha applicato proprio questo principio nella sua sentenza.
Il giudice ha inoltre chiarito che l’art. 1138 si riferisce a tutti i regolamenti, inclusi quelli contrattuali, e si applica anche ai regolamenti condominiali adottati prima del 2012, i quali devono ritenersi colpiti da nullità sopravvenuta.
Sebbene questa sentenza segua un orientamento giurisprudenziale sempre più diffuso a favore della detenzione di animali domestici, non tutti i giudici sono d’accordo.
Secondo una parte della giurisprudenza, infatti, l’ultimo comma dell’art. 1138 si riferirebbe solo ai regolamenti assembleari, ovvero quelli approvati con la maggioranza qualificata dei condòmini. Quindi, alcuni ritengono che sarebbe ancora possibile introdurre divieti di detenzione di animali attraverso regolamenti contrattuali, purché approvati da tutti i condòmini.
La norma, in effetti, non è del tutto chiara, motivo per cui il dibattito rimane aperto.
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